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The Tour: un paio di domande (III)

Segue da The Tour: un paio di domande (II)


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Nonostante tu sia un grande innovatore, uno degli aggettivi che ho notato accompagna il tuo lavoro in pista è semplicità. Ovvero, il tuo linguaggio è chiaro e asciutto, non ti rendi inaccessibile. Come declini questa semplicità?  

È una scelta precisa che ho preso qualche anno fa quando ho conosciuto il miglior allenatore che mi sia capitato di ascoltare, Dan Pfaff, a Phoenix. Nonostante la differenza linguistica, ho capito più lì che in tutti gli anni precedenti in italia. Il linguaggio era semplice, non doveva impressionare e il coach non aveva interesse a dimostrare di sapere di più degli altri. Ad esempio perchè devi sentirti dire mentre ti alleni “devi mantenere un’azione dorsiflessa il più a lungo possibile” anziché “tieni le dita del piede verso l’alto per più tempo possibile”? È fondamentale che l’atleta mi capisca. Se faccio partire un messaggio devo assicurarmi che arrivi. Si può parlare in maniera chiara e comprensibile senza passare per poco preparati o poco professionali.

Pensi che il tuo passato nella comunicazione ti aiuti?

Certo. Aver studiato e lavorato nell’ambito della comunicazione mi ha aiutato moltissimo nel mandare a destinazione il messaggio. A volte pesco risorse che risalgono alla preparazione di esami sostenuti in passato e dei quali a quei tempi non vedevo l’utilità. Insomma, il mio metodo ha una base tecnica ed educativa solida in cui la comunicazione sia chiara e semplice.

Quanti anni hai fatto da atleta?

Fino ai 19-20 anni a livello buono e competitivo.

Quali discipline coprivi?

400m e 400h… e cado esattamente nel profilo psicofisico del 400ista.

Quali erano le sensazioni durante una gara? dal riscaldamento al traguardo?

Seguendo il principio dello “se studi bene, l’esame va bene” sono sempre stato sicuro di me in gara, perché studiavo, e mi allenavo, tanto.

Anche fidarsi di chi ti insegna e importante, no?

Certo. Sforzo, condivisione e passione del mio tecnico erano ingredienti fondamentali per arrivare al riscaldamento sereno.  Il sentimento era “devo prepararmi per fare il migliore esame possibile. Ho dentro di me ciò che mi serve per andare alla grande perché ho lavorato bene”. Non ho mai vissuto un’emozione negativa sui blocchi. Non ho memoria di paura, insicurezza o spavalderia. Ero sicuro. Pensavo “Ho lavorato bene e ho fatto bene. Se qualcosa va storto, è perché doveva andare storto. Ma io ho tutte le armi per farlo andare bene.”

Puoi raccontarci pensieri avvenuti durante la gare?

Si, nei 400h mi concentravo molto sul conteggio dei passi. In particolare a un campionato italiano ricordo che avevo preparato una gara con 15 passi tra ostacoli per poi passare a 16 al sesto ostacolo. Quel giorno mi sentivo alla grande e al sesto ho deciso di mantenere i 15 passi. Andavo forte, e non ho cambiato. Ho continuato con spavalderia e al sesto ostacolo il piede di richiamo si è agganciato all’ostacolo e sono caduto. Quella scelta è stata dannosa ma non l’ho mai dimenticata e ancora oggi tornando su quella pista ti posso indicare esattamente il punto in cui ho avuto quel pensiero di mantenere 15 passi. Esperienza dura sul momento, ma altamente formativa che mi fece tornare in pista con voglia di fare ancora meglio.

Un 400 e 400h sono mentalmente molto diversi? i 400h sono molto più difficili o no?

C’è ovviamente relazione tra le due discipline. Però i 400h ti danno una serie di punti di riferimento, gli ostacoli, che servono a cadenzare la gara. 10 barriere sono 10 step intermedi, che mi aiutavano. I 400 richiedono, secondo me, più strategia perché devi gestirti meglio, avendo meno punti di riferimento.

Sei stato nell’Atletica nella maggior parte della tua vita. Dovessi definirla con un paio di aggettivi quali sarebbero? A parte leggera, ovviamente!

Direi impegnativa, perché l’atleta vuole fare bene e ci si impegna, ma la trovo anche altamente stimolante per ciò che ci siamo detti prima. C’è un solo valore, il tempo, e una sola variabile per raggiungere quel valore: Tu. E poi c’è un aggettivo che al momento non si associa molto con l’Atletica ma che vorrei lo facesse, ovvero divertente. E io spero di associare la mia professionalità con il divertimento.

Quindi due che vedo e uno che auspico.

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La costa Tropicale, Almuñécar (Spagna)

Il tuo prossimo evento/camp è in Andalusia. Ci puoi anticipare qualcosa?

Si, si farà speriamo al più presto, speriamo già a fine estate, nella fase off-season, dipendendo ovviamente dagli spostamenti in Europa.
Sarà un evento in cui offriremo la possibilità di allenarsi ad altissima qualità in un contesto splendido, con la pista a 200 metri dal mare, immersi nel contesto della Costa Tropicale dove oltre all’attività sportiva di alta qualità, ci sia anche un elemento ricreativo per atleti e accompagnatori, con città come Granada e Malaga a qualche ora di viaggio e visitabili in giornata. Viaggiare, allenarsi bene e divertirsi. La chiave.


Grazie Giacomo per il tempo dedicatomi e per l’elaborazione di questa intervista. Come sempre, ahora a por más!

Il futuro è brillante,
Alessandro


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